Poco più di una anno fa ho condiviso una riflessione sulla tossicità delle mie interazioni online, riconoscendo non solo l’influenza delle dinamiche digitali, ma anche quella delle mie predisposizioni personali (leggasi “non è colpa della rete, è che di base sono stronzo io”). La rete, con i suoi ritmi incalzanti e la sua immediata disponibilità di pubblico – un pubblico nel mio caso sempre più vasto – amplifica non già quaocosa di avulso da quello che siamo, ma spesso semplicemente ciò che già si trova dentro di noi: nel mio caso, una grande rabbia verso tutto quello che non riesco a realizzare, e una tensione tra il desiderio di comunicare e un’interazione spesso reattiva e non riflessiva.
Oggi, a un anno di distanza, mi trovo di nuovo a riflettere ancora su queste tematiche, onestamente constatando che le cose non sono migliorate, ma anche e soprattutto che è necessario ripensare alle strategie ed è necessario un impegno diverso (e/o maggiore) per un rapporto più sano con la rete. Questo aggiornamento non è solo una confessione di difficoltà – e fallimento per essere onesti – ma e soprattutto una dichiarazione di intenti aperta, supportata da teorie psicologiche e strategie basate sull’evidenza, che magari torneranno comode a qualcuno.
Nel caso non lo facciano, sono comunque comode per me per ritornare qui l’anno prossimo e capire quanto hanno o meno funzionato…
I passi che sto percorrendo
1. Continuare il Dialogo con un Esperto
Il supporto di un – nel mio caso una – professionista è essenziale per comprendere le complessità del mio comportamento e della mia percezione. Come sottolineato dalla teoria dell’autoregolazione, affrontare in modo sistematico le proprie risposte emotive e cognitive richiede una guida esterna per mappare comportamenti e reazioni automatiche.
2. L’Influenza delle neurodiversità
La mia neurodiversità – l’autismo – gioca un ruolo significativo: la difficoltà nel decodificare segnali sociali complessi e l’impatto del cognitive overload amplificano il rischio di risposte impulsive, soprattutto in contesti digitali sovrastimolanti. Affrontare questo aspetto significa integrare pratiche di mindfulness e strategie di decompressione cognitiva, creando spazi protetti per una riflessione più calma e ponderata.
3. Pulizia Digitale
La decisione di eliminare gli archivi sociali di varie piattaforme risponde al bisogno di ridurre l’overexposure – la continua esposizione a stimoli che perpetuano ansia e stress. Questo concetto è legato alla theory of attentional control, secondo cui l’eccesso di stimoli distraenti riduce la capacità di mantenere l’attenzione su obiettivi a lungo termine. Liberarmi di questi “residui digitali” mi permette di concentrarmi su ciò che è significativo.
4. La Regola delle 24 Ore
Tenterò di rispondere o pubblicare solo a distanza di 24 ore sui temi più controversi, basandomi sul presupposto della distinzione tra Sistema 1 (intuitivo, impulsivo) e Sistema 2 (deliberativo, riflessivo) descritta da Kahneman. Concedersi tempo prima di reagire consente di attivare il Sistema 2, evitando – si spera – risposte reattive che alimentano dinamiche tossiche.
Questo approccio combatte anche il negativity bias – la tendenza naturale a focalizzarsi sugli stimoli negativi – garantendo (o ferse meglio “incentivando”) un’elaborazione più razionale.
5. Focus sui Contenuti Significativi
Vorrei sempre più focalizzare la mia attenzione nella creazione di long formats e non di short formats., in particolare:
- Video su YouTube: I formati medio-lunghi permettono di approfondire temi complessi, in linea con la depth of processing theory , che evidenzia come un’elaborazione più profonda delle informazioni porti a una maggiore soddisfazione cognitiva e a un impatto più duraturo.
- Testi Lunghi: La scrittura richiede tempo e attenzione, ma mi offre una forma di “cristallizzazione” delle idee, permettendo un’esplorazione sistematica che contrasta il cognitive overload.
6. Spazio Settimanale di Live
La decisione di dedicare un appuntamento settimanale a una live al mattino riflette la constatazione dell’importanza non solamente della Comunità – che mi sento di tradire almeno parzialmente nel non commentare al veleno in tempo reale, come in molti si aspettano – ma anche quella di creare spazi di dialogo autentici. Questo approccio si basa sulla teoria della social connectedness, che sottolinea come interazioni autentiche e significative migliorino il benessere psicologico. La cadenza settimanale garantisce un equilibrio tra presenza e protezione delle proprie energie.
Di base, sto maturando la convinzione di non essere “programmato” per gestire efficacemente la continua esposizione a stimoli, notifiche e contenuti, che mi generano molto velocemente un un sovraccarico cognitivo un cognitive overload, che nel mio caso si traduce almeno per ora nella incapacità di risolvere problemi complessi e di prendere decisioni ponderate sul web, una cosa che invece mi viene paradossalmente estremamente bene in una serie di altri ambiti, prevalentemente lavorativi..
Ridurre l’esposizione alle cose meno importanti e alle schermaglie e dedicarsi a formati più lenti e riflessivi mitiga questo effetto, promuovendo un’esperienza più significativa.
Riconosco che questo non è per nulla un percorso lineare, ma ogni passo rappresenta un investimento nel mio benessere e nella qualità delle mie interazioni. Sono arrivato a un punto della mia vita in cui, più che combattere i miei difetti, scelgo di osservarli con lucidità, accettandoli come parte integrante di me stesso. Accettazione, però, non significa rassegnazione: significa discernere cosa vale la pena cambiare e cosa invece merita di essere valorizzato, persino nei suoi limiti.
Dal buddismo ho appreso che il vero equilibrio non consiste nel distruggere il sé imperfetto, ma nel riconoscerlo e lavorarci sopra con compassione e determinazione, accettando che il cambiamento è un processo graduale. Non tutto deve cambiare; forse sono proprio alcune contraddizioni, se ben canalizzate, a dare forza e autenticità a ciò che faccio. Tuttavia, ci sono dinamiche che so di dover trasformare profondamente, perché non solo consumano me e chi mi sta intorno – anche virtualmente – ma distolgono anche il mio sguardo da ciò che davvero conta.
Come scriveva Albert Camus, “Il faut imaginer Sisyphe heureux” (Bisogna immaginare Sisifo felice) : il lavoro costante su di sé non è una condanna, ma una forma di libertà. E io sono determinato a usare questa libertà per distinguere ciò che devo migliorare da ciò che posso accogliere, costruendo un dialogo digitale più ponderato, empatico e significativo.
O, per o meno, provandoci. D’altronde, come dico sempre, bisogna essere pronti.
Estote parati.